Neuropatie periferiche ereditarie a insorgenza precoce: l’esperienza di un centro di riferimento
Abbiamo chiesto al dott. Geroldi, del DINOGMI dell’Università di Genova, di raccontarci l’esperienza del centro specialistico di diagnosi genetica in cui lavora e di spiegarci i fattori che concorrono al raggiungimento di una diagnosi genetica in neuropatie periferiche ereditarie a insorgenza precoce. Questo studio è stato oggetto di una recente pubblicazione sulla prestigiosa rivista Pediatric Neurology.
Le forme a esordio pediatrico di CMT
La malattia di Charcot-Marie-Tooth esordisce generalmente nella seconda decade di vita, ma è ormai nota da tempo l’esistenza di forme precoci con sintomi/segni di neuropatia sin dai primi anni di vita e che talvolta possono presentarsi anche come congenite, cioè alla nascita.
La sfida per arrivare a raggiungere una corretta definizione genetica è spesso ardua, soprattutto per l’iniziale difficoltà della diagnosi differenziale tra forme acquisite (rare, ma non impossibili nei bambini) e forme geneticamente determinate. All’interno di questo gruppo, risulta fondamentale distinguere tra le forme pure (solo con neuropatia) e quelle in cui la neuropatia è solo un segno precoce all’interno di un quadro clinico più complesso.
L’Unità Operativa di Genetica Medica dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova ha raccolto in 24 anni di attività di diagnostica molecolare 223 casi di pazienti con neuropatia periferica esordita nella prima decade di vita: 72 provenivano dalla storica collaborazione con l’Istituto Pediatrico IRCCS G. Gaslini di Genova e i rimanenti dall’Ambulatorio Integrato per lo studio delle neuropatie ereditarie dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova o da altri centri neurologici italiani.
L’obiettivo del lavoro era valutare la capacità diagnostica nelle CMT ad esordio precoce (in particolare sui casi diversi dalla CMT1A) e valutare quanto l’invio del campione, corredato di dati strumentali e anamnestici da parte di un centro neuro-pediatrico altamente specializzato possa modificare la resa diagnostica.
I risultati dello Studio sulla diagnosi genetica delle CMT pediatriche
Considerando l’intera casistica, la diagnosi genetica è stata raggiunta nel 50% dei pazienti, lasciando quindi un’ampia percentuale di casi orfani di definizione molecolare. Non si sono osservate significative differenze nella resa diagnostica tra le forme di neuropatia assonali e quelle demielinizzanti. Allo stesso modo abbiamo osservato la stessa percentuale di casi diagnosticati tra i casi familiari e quelli sporadici, determinata soprattutto da un’alta frequenza (38%) di mutazioni de-novo, cioè di quelle varianti nel codice genetico che si presentano per la prima volta nell’individuo affetto senza essere ereditate da un genitore.
Sono state individuate varianti patogenetiche in 22 geni differenti, tra i quali MPZ, MFN2, GDAP1, and SH3TC2 rappresentano quelli maggiormente coinvolti.
La capacità di raggiungere la diagnosi molecolare dipende anche in gran parte anche dall’acquisizione di nuove conoscenze scientifiche e dall’evoluzione delle tecnologie utilizzate per gli studi molecolari. Nel loro complesso però i dati riportati disegnano la storia naturale di un centro specializzato in più di 20 anni.
Il dato più rilevante dello studio è l’osservazione che la percentuale di resa diagnostica aumenta fino al 67% per i casi provenienti da un centro specializzato in neurologia pediatrica e al contrario scende al 43% se l’inviante è un neurologo o un centro senza competenze specifiche in diagnosi delle CMT.
In particolare, abbiamo evidenziato come i casi inviati da un ospedale pediatrico specializzato presentino studi di conduzione nervosa solitamente in accordo con i risultati dei test genetici, con divergenze che si riscontrano nei pazienti con malattia ad insorgenza precoce, ma diagnosticata solo in età adulta. In questi casi il danno al nervo può essere così esteso da compromettere l’utilità diagnostica dell’elettroneurografia routinaria.
L’esperienza specializzata nella valutazione dei bambini sembra essere particolarmente importante per identificare i casi in cui la neuropatia è solo un segno clinico di un fenotipo più complesso ed evitare quindi di rimanere ancorati all’ipotesi di una neuropatia periferica pura.
Al giorno d’oggi, la riduzione dei costi e la semplificazione dei protocolli tecnici hanno aumentato la disponibilità di analisi genetiche ad ampio raggio (Sequenziamento di nuova generazione). Queste permettono di analizzare contemporaneamente più geni fino ad arrivare all’intero genoma. Ciononostante, l’interpretazione dei risultati è spesso ancora imprecisa.
La collaborazione tra clinici e laboratorio è la chiave
Una continua interazione tra il laboratorio e i clinici è la migliore strategia per migliorare la percentuale di raggiungimento diagnostico, accelerarne le tempistiche e ridurre al minimo i risultati inconcludenti. Sebbene le nuove tecnologie di sequenziamento del genoma siano uno strumento molto potente, un inquadramento clinico e neurofisiologico preciso e dettagliato è fondamentale per dipanare e interpretare l’enorme quantità di dati genetici che queste analisi generano.
In conclusione, se nell’era dell’analisi “gene per gene”, la caratterizzazione clinica e strumentale era centrale per indirizzare la valutazione genetica oggi possiamo affermare che, nell’era del “sequenziamento di nuova generazione”, diventa essenziale per l’interpretazione del risultato finale nel contesto clinico e strumentale del paziente.
Questo obiettivo, importante per tutte le CMT, diventa critico per le forme ad esordio precoce nelle quali è fondamentale evitare al piccolo paziente indagini strumentali e/o terapie inappropriate e fornire ai genitori una prognosi più corretta e un preciso rischio di ricorrenza.
Dott. Alessandro Geroldi