Intervista al Dott. Piscosquito, Ambasciatore per la CMT
Il dott. Piscosquito esamina le prospettive e i trattamenti per la CMT
In occasione del mese per la consapevolezza della CMT, abbiamo chiesto al Dott. Giuseppe Piscosquito, che ha accettato di essere ambasciatore per la Campagna europea per la consapevolezza per la Charcot-Marie-Tooth, di fare il punto su Prospettive e Trattamenti per la CMT.
Il dott. Piscosquito, neurologo con un notevole bagaglio di esperienza sulla CMT, ci aiuterà a fare il punto sulla malattia di Charcot-Marie-Tooth e ci aiuterà a far conoscere questa malattia invisibile tra i suoi colleghi.
Tantissimi i temi trattati: diagnosi, terapie, impatto sulla società e un messaggio di speranza in conclusione.
Buona Lettura!
Identikit del nostro Ambasciatore
Conosciamo il dottor Piscosquito da quando lavorava al Besta con l’equipe del dottor Pareyson e, da allora, abbiamo instaurato una proficua collaborazione. È stato il nostro punto di riferimento ai diversi congressi, ci ha aiutato e guidato nella formazione di diversi fisiatri e fisioterapisti nei nostri corsi ed è spesso venuto ai nostri congressi per parlare della Charcot-Marie-Tooth ai pazienti. Il dottor Piscosquito oggi lavora presso l’IRCCS di Telese in Campania, un istituto di rilievo nazionale e di alta specializzazione per la medicina riabilitativa, e si occupa dell’ambulatorio per le neuropatie e per le atassie.
Come ha conosciuto la malattia di Charcot-Marie-Tooth?
In realtà, non sono venuto a contatto con la CMT per caso, ma ho scelto di occuparmi di neuropatie ereditarie. Fin dai tempi in cui ero al Besta di Milano, insieme al dottor Pareyson avevamo un ambulatorio di neuropatie generale e un ambulatorio dedicato alle neuropatie ereditarie. Il Besta è un istituto ben specializzato, sapevo fin dall’inizio di che cosa mi sarei occupato e ho avuto la possibilità di farlo in questi due ambulatori e in reparto. Ovviamente, negli anni, grazie a una buona intesa e un rapporto di fiducia con il mio responsabile, il dottor Pareyson, abbiamo creato anche un ambulatorio trial, in cui lavoravo praticamente da solo, coordinandomi con tutta l’equipe.
In questi ambulatori, ho visitato numerosissime persone affette da questa neuropatia; grosso modo nei 5-6 anni in cui sono stato al Besta avrò visto due o tremila persone, tutti con i loro problemi e con il loro fenotipo clinico. Mi sono costruito un bagaglio di conoscenze ampio che poi ho utilizzato e utilizzo ancora tuttora nella mia pratica clinica.
Diagnosi di CMT: come possiamo suscitare negli altri medici e nel personale sanitario motivazione, curiosità, per andare oltre, pensare in modo differente?
La neuropatia ereditaria di Charcot-Marie-Tooth è una malattia rara, ma sicuramente la meno rara tra le rare. Come arrivare alla diagnosi? si riconosce ciò che si conosce, per cui bisogna far conoscere, bisogna diffondere. Ci sono degli hallmark diagnostici che i medici di base dovrebbero conoscere: le deformità del piede, il piede cavo, la familiarità per queste deformità o per l’andatura non ottimale, l’esame elettrofisiologico, che è alla portata di tutti e spesso è indicativo di una sofferenza del nervo, devono essere dei “campanelli d’allarme”.
Inoltre, bisogna far formazione sul territorio, come state facendo sicuramente, bisogna diffondere la conoscenza attraverso i canali a nostra disposizione: convenzionali come congressi, convegni e incontri scientifici, ma anche non convenzionali, come una pagina Facebook e altro, ad esempio.
Bisogna, inoltre, rendere edotte le persone che possibilmente sono affette da questa neuropatia che esiste una rete italiana per le neuropatie ereditarie: esistono centri ultra-specializzati e competenti praticamente in ogni regione d’Italia. I contatti sono facilmente reperibili, basta vedere sul sito di ACMT-Rete, e penso che sia questo il modo per raggiungere capillarmente tutto il territorio nazionale e aiutare i colleghi a far la diagnosi nel più breve tempo possibile, per poter procedere successivamente all’inquadramento clinico-diagnostico e al trattamento.
Un messaggio per incoraggiare i colleghi ad essere più curiosi nella loro pratica clinica, ad andare oltre l’apparenza o la prima diagnosi?
Oggi le metodiche di diagnostica sono molto più disponibili e diffuse che in passato: nato il sospetto clinico, grazie ai suddetti “campanelli d’allarme” che anche il medico di medicina generale o il neurologo di frontiera deve conoscere e riconoscere, il medico deve incuriosirsi e inviare il paziente dopo una diagnosi di primo livello a centri specializzati.
I test genetici, come dicevo, sono disponibili, grazie a nuove tecniche di sequenziamento sono fruibili a una gran parte della popolazione e la diagnosi genetica è possibile. Far diagnosi, dapprima clinica e poi genetica, è l’obiettivo minimo che dobbiamo porci, perché presto ci saranno trattamenti specifici e il medico di medicina generale o il neurologo di frontiera è, per forza di cose, nella prima fase il coordinatore della diagnosi.
Il messaggio finale, personale, che potrei dare è “meglio fare un esame in più, meglio una visita neurologica in più, meglio un parere in un centro specializzato in più che non far nulla”. È un servizio di pubblica utilità che dobbiamo svolgere perché presto, ripeto, ci sarà il trattamento e quindi dobbiamo dare al paziente una diagnosi.
Quali sono i principali problemi di salute, la sintomatologia di questa malattia? e qual è secondo lei l’impatto sulla società e sulla sanità pubblica che la CMT ha?
La sintomatologia classica della Charcot-Marie-Tooth è legata prevalentemente a una sindrome ipostenica e ipotrofica distale, ovvero manca la forza e i muscoli diventano atrofici, “magri”, nei piedi e nelle mani.
Di conseguenza, si ha difficoltà a camminare, si hanno distorsioni frequenti, difficoltà a sollevare la punta del piede, il cosiddetto piede cadente che fa inciampare spesso quando si fanno le scale; nel caso delle mani, il paziente ha difficoltà ad aprire barattoli, ad aprire una bottiglia, ad infilare il filo nella cruna di un ago, ad allacciare e slacciare i bottoni di una camicia.
I sintomi sono anche legati alla ipoestesia, cioè alla mancanza di sensibilità distale,ovvero nei piedi nelle mani: a volte ci si ferisce e non si prova dolore, necessario perché è d’allarme per il paziente. Ciò crea delle vere e proprie lesioni agli arti inferiori; anche le callosità sono dovute ad alterazioni della sensibilità.
Le alterazioni della sensibilità compromettono anche l’equilibrio: non è strano che questi soggetti non riescano a camminare su terreni accidentati, o a stare in piedi in autobus o in metropolitana. Sia lo squilibrio muscolare che l’alterazione della sensibilità portano a strutturare anche delle alterazioni scheletriche: ad esempio, il piede cavo, il ginocchio varo o la scoliosi, che causano, a loro volta, dolore.
La maggior parte dei dolori sono osteoarticolari, ma va notato che un’alta percentuale di pazienti che lamenta anche dolori neuropatici. Il dolore neuropatico non è causato da un danno osteoarticolare ma è dovuto a un’alterazione tale del nervo stesso che porta ad avere dolore. Si calcola che circa il 20% dei pazienti soffre di dolore neuropatico. Altra sintomatologia caratteristica sono i crampi, molto frequenti soprattutto ai polpacci, la fatica e la facile esauribilità muscolare.
È ovvio che poi chi soffre di questa sintomatologia può avere una ridotta produttività lavorativa, un ridotto profitto scolastico ,purtroppo, e quindi questo come costi diretti per il paziente e per le aziende, ma è ovvio che poi l’altra faccia della medaglia è che richiedono prestazioni sanitarie, devono assentarsi dal lavoro e
quindi l’altra sfera dei costi indiretti. Non penso ci siano studi in tal senso che possono quantizzare la dimensione del problema in Italia. Devo purtroppo constatare che, da questo punto di vista, le politiche sanitarie sono abbastanza carenti e non sempre offrono le agevolazioni necessarie; molte volte non si conoscono neanche le agevolazioni necessarie e per cui si resta in questa fase in cui non si riesce ad usufruire dei servizi possibili. In quest’ambito, c’è sicuramente molto da fare.
Prospettive e Trattamenti per la CMT: esistono dei trattamenti per la Charcot-Marie-Tooth? cosa si sentirebbe di suggerire a un paziente per “rallentare la progressione della malattia”?
Esistono sicuramente dei trattamenti per la neuropatia ereditaria, alcuni non sono ancora ben standardizzati e accessibili a tutta la popolazione, ma molto bolle in pentola. Ad oggi, l’approccio è forma-specifico: la CMT1A, ad esempio, che è la forma più comune, ha a disposizione alcuni trattamenti rispetto alle altre forme come la CMT X, che ne ha altri, o la CMT1B, piuttosto che le altre forme.
Volendoli analizzare un po’ a grandi linee, la CMT1A che è dovuta alla duplicazione del gene PMP22, ha dei trattamenti che puntano a ridurre quella iperespressione: è alla terza fase di sviluppo clinico un’associazione di tre molecole che puntano a ridurre la PMP22, ma molto ci aspettiamo anche da un’altra tecnologia, quella degli oligonucleotidi antisenso, che puntano a ridurre l’RNA messaggero per la PMP22, così come anche lo sono i cosiddetti siRNA, degli RNA interference che riducono l’RNA messaggero per questa proteina e sono già in fase di sperimentazione avanzata preclinica e saranno presto a disposizione per la clinica.
Per quanto riguarda la CMT1X, un gruppo è riuscito a introdurre il corrispondente gene sano direttamente intrarachide, nel liquor cefalospinale, avendo una restituzione del fenotipo clinico, come dimostrato nel topo, con risultati veramente molto confortanti: anche quando i sintomi della neuropatologia si sono già manifestati, il topo migliora.
Questo stesso approccio della sostituzione genica può essere applicato, teoricamente, per tutte le “loss of function”, cioè per tutte quelle mutazioni che portano alla perdita della funzione del gene: con la terapia genica se ne può ripristinare teoricamente la funzione somministrandolo dall’esterno, come fatto ad esempio per le CMT 4C.
La terza forma più comune, legata alla MPZ, è la CMT 1B: un gruppo italo-americano ha stabilito una correlazione tra questa forma e lo stress del reticolo endoplasmatico, ci sono delle molecole pronte per arrivare in clinica.
Per le forme assonali, ovvero quelle forme dove una parte del nervo specifica, che si chiama assone, soffre, è in fase di sviluppo una classe di farmaci chiamati inibitori dell’istone deacetilasi, molecole pronte per la fase clinica; non dobbiamo poi dimenticarci della neurotrofina e della neuregulina.
C’è anche un altro approccio, che agisce più sul muscolo che sul nervo, l’ACE-083, che anche ha fatto una prima fase di sperimentazione clinica ottima, e si stanno approcciando alla seconda fase.
Quindi, tanta carne al fuoco, il trattamento sta arrivando.
Che cosa fare nel frattempo? mantenere quanto più possibile la muscolatura sana, evitare le deformità scheletriche, evitare contratture, le retrazioni tendinee. Ovviamente, questo richiede fisioterapia continuativa, fatta di stretching tendineo, esercizi sull’equilibrio, rinforzo muscolare, ed è necessario prevenire deformità scheletriche con l’uso di plantari, ortesi e con un buon trattamento fisioterapico.
È fondamentale mantenere un’unità nervo-muscolo quanto più conservata possibile per quando arriverà il trattamento.
Ogni persona ha una propria motivazione, uno stimolo che lo spinge a dare il meglio di sé nell’esercizio della propria professione. Qual è la sua e perché ha accettato di essere un ambasciatore per la Charcot-Marie-Tooth per questa nuova campagna di sensibilizzazione?
Sin dal corso di specializzazione, mi sono sempre occupato di malattie neurodegenerative, di malattie rare e di malattie orfane. In particolare, negli ultimi anni, mi sono concentrato sulle neuropatie ereditarie in generale e sulla Charcot-Marie-Tooth. Penso che questa tipologia di malattie sia la sfida del futuro, sono convinto che la mia generazione vedrà una rivoluzione terapeutica, esattamente come successo qualche generazione fa con la terapia antibiotica per le infezioni, e quindi ho l’ambizione personale di partecipare a questa rivoluzione.
Stare dalla parte del paziente è un dovere di ogni buon medico, e io vorrei esserlo; quindi, fare l’ambasciatore europeo mi lusinga, ne sono fiero, ringrazio ancora una volta ACMT-Rete e spero di esserne in grado, e che anche attraverso questo ruolo io possa dare il mio contributo e partecipare a questa rivoluzione.
Grazie ancora per la sua disponibilità e per il suo impegno Ambasciatore!
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